L’Associazione italiana Centri culturali, presieduta da Letizia Paoli Bardazzi, sta realizzando per il Meeting 2020 una serie di podcast di grandi libri e autori (le uscite fatte finora si trovano sul sito www.meetingrimini.org/edizione-2020/bookcorner-20/). Giovedì 30 è in programma l’uscita del dialogo tra Lorenzo Fontolan, fisico esperto di neuroscienze che lavora al Janelia Institute negli Stati Uniti, e David Quammen, autore del “profetico” Spillover. L’evoluzione delle pandemie (Adelphi 2014) e del recente L’albero intricato (Adelphi, pagine 536, euro 26,00). Anticipiamo in queste colonne alcuni stralci della conversazione.
Se non prestiamo attenzione al modo in cui ci relazioniamo con la natura, saremo destinati forse a andare incontro a conseguenze molto gravi, e questo è un aspetto che David Quammen ha analizzato nel libro Spillover. L’evoluzione delle pandemie, pubblicato in Italia nel 2014, mentre ora è in libreria, sempre per Adelphi, L’albero intricato. In Spillover diceva che una delle più grandi minacce per gli esseri umani nel prossimo futuro avrebbe potuto essere proprio un coronavirus che avrebbe effettuato un “salto di specie” e che si sarebbe potuto diffondere da un wet market in Cina.
Per ovvie ragioni, recentemente avrà forse sentito questa frase un’infinità di volte... Come è stato in grado di prevederlo? E cosa pensa che il nostro rapporto con la natura debba suggerirci?
Non ero un veggente, non ero un profeta, ma seguivo attentamente una cerchia limitata di esperti che indagavano sulle malattie, e gli scienziati dicevano proprio queste cose. In ambito scientifico si sapeva che sarebbe arrivata una pandemia, che sarebbe stata causata da un nuovo virus proveniente da un animale selvatico, che molto probabilmente sarebbe stato un coronavirus – perché i coronavirus si adattano velocemente – e che sarebbe successo in un luogo dove l’uomo è in contatto con gli animali selvatici come un wet market. Quando qualcuno mi chiede come ci si sente a essere un veggente, la mia prima risposta è che io non lo sono, ma che lo sono stati gli scienziati; la mia seconda risposta è che se fossi un veggente avrei preferito sbagliarmi. Ma eccoci qui, è successo. Passando al secondo punto, questo riflette proprio il nostro rapporto con il mondo della natura. Questa pandemia di livello globale, non è un evento indipendente che ci sta capitando come una grande sventura; fa parte di un vasto quadro di avvenimenti causati da quello che gli esseri umani stanno facendo, dal modo in cui viviamo su questo pianeta. Oggi siamo 7,8 miliardi, abbiamo una grande intelligenza, molta fame, fame di risorse di tutti i tipi – di carne, di animali selvatici, di legname, di minerali, di diversi ecosistemi, di carburanti fossili… quindi tutte le scelte che facciamo hanno un impatto sul resto della natura. E sto attento a non dire che ha un impatto sul mondo della natura, perché noi facciamo parte del mondo della natura: non esiste un mondo della natura e il mondo degli esseri umani, esiste solamente il “mondo”. Eppure noi siamo “il re e la regina”, ci sentiamo tali su questo pianeta e sentiamo il diritto di attingere alle risorse del resto del mondo della natura, per il nostro uso, per il nostro consumo. E consumando sempre più risorse attiriamo sempre più virus verso di noi, paradossalmente offriamo loro l’opportunità di salvarsi dall’estinzione. Quindi, quando avremo messo fine, o meglio quando avremo messo sotto controllo il Covid-19, dovremo trattare questo terribile avvenimento come un’opportunità per ristabilire il nostro rapporto con il mondo della natura.
Durante la pandemia abbiamo spesso sentito alzarsi la voce degli scienziati, e degli esperti di comunicazione scientifica, che ci avverte sulle conseguenze che ha appena spiegato. Eppure ho l’impressione che l’umanità abbia fallito ripetutamente nel correggere il suo corso, di fronte a guerre, oppressione, sfruttamento delle risorse, disastri ecologici, dittature politiche; queste cose si sono verificate tantissime volte nella storia e, sì, stiamo migliorando, ma molto lentamente, e non sembriamo in grado di imparare molto dagli eventi traumatici. Dunque, la mia domanda è: la paura e il senso di colpa non sembrano essere un buon modo per motivare l’umanità, per realizzare ciò che ha suggerito, cioè ridurre il nostro impatto ridistribuire la ricchezza; cosa pensa quindi possa costituire un incentivo positivo, cosa possiamo fare perché queste cose diventino importanti per noi, suscitino interesse, abbiano per noi un valore che vada oltre la semplice paura dell’estinzione?
Non ho la risposta che avrei voluto darle, è una cosa a cui penso anch’io ogni giorno. Penso a come meglio fare il mio lavoro per raccontare la storia, non solo della scienza, ma della tutela di questo pianeta, del mondo della natura, di ciò che stiamo perdendo. A questo proposito stiamo affrontando tre grandi problemi su questo pianeta: la minaccia di una malattia pandemica, che provoca grande sofferenza e morte nell’uomo; il cambiamento climatico; la perdita di biodiversità, una tragedia in sé che si riversa anche su di noi. Questi sono i tre grandi problemi. Uno non è la causa dell’altro, in realtà procedono in parallelo, ma le cause ultime sono le stesse: la dimensione della popolazione umana, il consumo umano, l’impatto umano. Ogni giorno penso a come fare meglio per convincere le persone, gli altri e me stesso ad agire in modo drastico, a cambiare, a ridurre l’impatto; come lei dice deve esserci un accento positivo oltre che negativo, non può trattarsi solo della minaccia di una pandemia, sebbene la minaccia di una pandemia sia già meglio della minaccia di un cambiamento climatico, perché ora capiamo che una malattia pandemica si verifica rapidamente, colpisce duramente, mentre il cambiamento climatico è molto lento e graduale ed è più astratto. Penso dunque che questo terribile evento sia un’opportunità per fare dei cambiamenti che ci aiuteranno anche con gli altri problemi; perché, diversamente dagli altri problemi, questo si è verificato rapidamente e drammaticamente e ha colpito tutti, perciò forse potrà aiutarci a cambiare. E questo per quanto riguarda il lato negativo. Dal lato positivo, torno a chiedermi: come riscopriamo il nostro senso di meraviglia se siamo ciechi e sordi al sublime?
Grazie, sentiamo davvero la meraviglia uscire dalle sue parole. Ho un’ultima domanda da rivolgerle e che mi auguro possa riguardare sia la speranza sia un avvertimento. Essendo stato un grande “profeta’” – so che non è una definizione che ama – cosa pensa che cambierà dopo la pandemia? Non solamente nel modo in cui attuiamo le politiche che potrebbero aiutare il nostro rapporto con la natura, ma nel modo in cui in un certo senso ci riscopriamo come esseri umani in questo periodo difficile che comunque ci ha dato molti argomenti su cui riflettere.
Penso che saranno molte le cose – alcune delle quali forse accadranno – che ristabiliranno il nostro rapporto con il mondo della natura, il riconoscimento del fatto che ne facciamo parte, che abbiamo dentro di noi un Dna virale che non è solo infettivo. Ma ci sono altre cose che sicuramente accadranno, cose molto positive. Apprezzeremo – quando tutto questo sarà sotto controllo, quando avremo un vaccino per il Covid-19 e quando la pandemia sarà ridotta a una malattia endemica a cui dobbiamo prestare attenzione facendoci vaccinare e tenendo conto delle scoperte che emergeranno –, quando saremo a quel punto apprezzeremo come mai abbiamo fatto prima il valore di un abbraccio, il valore di una stretta di mano, il valore del contatto umano con i nostri amici, con gli estranei e con le altre persone, il valore di radunarsi in una folla in piazza San Pietro, il valore di stare insieme in un modo che ora ci è impossibile. Penso che non ci sia nulla che avrebbe potuto portarci ad apprezzarlo meglio di questo avvenimento. Credo che questo sarà uno dei risvolti positivi di questa situazione, sono convinto che chiunque abbia vissuto tutto questo non dimenticherà il valore e il piacere di un abbraccio umano.